Autenticità multiculturale. Direi che c’è proprio questo in Girl, Woman, Other - Ragazza, donna, altro - il romanzo della scrittrice anglo-africana Bernardine Evaristo, uscito nel 2019, e vincitore del Booker Prize.
Un romanzo corposo, con una scrittura postmoderna, dalle frasi brevi, a tratti frammentate, con una punteggiatura essenziale, sullo schema più del verso che della prosa; una sorta di prosa poetica, che la stessa scrittrice definisce una “fusion fiction”, un oggetto ibrido, che consente alla parola di superare il mainstreaming di inizi ‘900 e spaziare maggiormente tra coscienza e realtà. Con questo linguaggio, 12 donne si raccontano. Il romanzo si compone in 12 storie, vite connesse l’una all’altra, per parlare di 12 modi di essere donna oggi, ma anche di diversità, di consapevolezza, di umanità, di globalizzazione.
Si delineano 12 quadri, letterari e teatrali. Comune denominatore è l’origine afro di queste donne nell’Inghilterra di oggi, la loro provenienza e il loro cammino. Storie che hanno un passato e un futuro, nel racconto delle madri e delle figlie e un presente fatto di ricerca: di una identità lavorativa, sessuale, di relazioni e legami. Un microcosmo in cui tutto è possibile, accettato e contrastato, in fieri. Un racconto femminista, che va oltre il “femminismo”.
Alcuni critici lo hanno definito anche un romanzo “queer”, perché supera le categorie, gli stereotipi, le convenzioni sociali, non solo dal punto di vista delle scelte e degli orientamenti sessuali, ma in ogni atteggiamento, comportamento, ideale. Il lettore è trasportato con naturalezza in queste vite estreme, in cui tutto appare fluido, normale nella sua stranezza, nuovo forse, con uno sguardo al viaggio dell’umanità e della società moderna.
L’ amore senza barriere, sia etero che gay, la violenza non solo di genere, la fatica di vivere, il lavoro intellettuale come quello manuale, i diritti, l’arte, si mescolano e rimbalzano da un personaggio femminile ad un altro. Tra loro c’è un filo rosso, ma ognuna è una storia a sé.
È Teatro. Ogni racconto è una drammaturgia breve, intricata, piena di “strati”, che affondano nelle radici comuni, nelle singole coscienze, nelle esperienze familiari - in gran parte di immigrazione antica o recente - nei ricordi, nei legami, che appaiono indissolubili. Donne con delle connessioni di vita profonde, spesso poco evidenti, perché ognuna segue una propria strada, fa i propri errori e colpi di testa, difende le proprie convinzioni e battaglie.
La prima protagonista è Amma. Sessantenne, nera, lesbica e poliamorosa, attrice e regista teatrale, madre di Yazz, ormai giovane universitaria. Ha creato – proprio come la Evaristo negli anni ’80 del ‘900 - una compagnia di donne nere e di sangue misto, femministe, che ha fatto tanta gavetta, tanta sperimentazione in piccoli teatri alternativi. Sempre ai margini. Sempre in periferia. Nella prima scena di Ragazza, donna, altro Amma è, però, davanti il National Teathre di Londra, dove sta per essere messa in scena la sua opera L’ultima amazzone del Dahomey, uno spettacolo trasgressivo, che racconta una parte di storia africana femminile, completamente sconosciuta al pubblico. Ce l’ha fatta. È la “realizzazione”, il punto di arrivo, di Amma e di tutte le altre donne e ragazze, ma anche degli uomini che le hanno conosciute. Perché al centro di Londra, nel suo principale teatro - si capirà - ci sono arrivati tutti insieme, dalle loro lontane origini coloniali e non. Sono madri, figlie, sorelle, amiche, amici, compagni. Di tutte le generazioni, provenienze e orientamenti. Un punto di arrivo, quello delle tavole del Palco londinese, su cui si manifesta la coralità dei punti di vista, delle esperienze individuali e con ciascuno, del riscatto delle nuove generazioni, la cui integrazione non appare più in discussione. C’è, è nelle adolescenti e nelle protagoniste della vita artistica e sociale di Londra nel decennio di passaggio dagli anni ‘10 ai ‘20 del 2000.
Un affresco che descrive con grande perizia letteraria e drammaturgica la società multiforme e composita dell’Occidente. In Gran Bretagna, in Europa e al di là dell’oceano, dove una delle protagoniste è scappata per inseguire un amore impossibile. I sentimenti vengono alla luce, qualunque sia il sesso o l’età dell’amato, e lo fanno con la drammaticità e verità che è propria del racconto dei nostri giorni, ora che – non solo nell’arte – i tabù sono meno resistenti.
È in questa multiformità e nella sua accettazione, che si trova l’autenticità. Nulla è più granitico e univoco. Le parti si compongono in un tutto, che ne rispetta la molteplicità. 12 anglo-africane diventano il veicolo per raccontare storie e una storia, in cui ci sono i temi più svariati, non solo legati alle donne.
Il Romanzo parte e torna al Teatro. Sul palco la vicenda umana e quella artistica si ricompongono. Nel party post spettacolo appaiono tutte le protagoniste riunite per festeggiare “il cambiamento”.
Un romanzo che è “pure enjoyment and…originality”, come ha scritto il mio amico Larry sul frontespizio della copia in lingua originale, che ha voluto regalarmi, facendomi scoprire questa scrittrice, che sta contribuendo a rivoluzionare, nuovamente, il romanzo inglese, con il suo stile e con il suo vissuto. Nata a Londra nel 1959, da madre inglese e padre nigeriano. Già questa è una perfetta sintesi di tutto quello che, alla fine del secolo scorso, ha voluto dire essere donna, nera, immigrata, in famiglie non sempre convenzionali.
Un romanzo – l’ottavo di Bernardine Evaristo - davvero godibile e originale nella sua profondità. Non ha un finale, rimane aperto. Come le possibilità della vita.
Grazia Napoli