Ha un’impronta di radice, d’istinto, l’autenticità espressa dell’attore lucano, musicista e regista teatrale, Erminio Truncellito.
Artista versatile, al cinema ha recitato in film come Lucania – Terra Sangue e Magia, La luce nella masseria, Sexum Superando, Il grande sogno, Vallanzasca – Gli angeli del male, Itaker e L’ultimo Paradiso. In tv è apparso in fiction di successo, tra cui La nuova squadra, Il restauratore 2 e RIS – Romanzo siciliano e nella terza e quarta stagione di Imma Tataranni. Il teatro, sua grande passione, lo ha visto in spettacoli come La Cassaria (regia di Pino Quartullo) e Sei personaggi in cerca d’autore e Il turno di Notte (regia di Giampiero Francese). Molto innovativa la sua attività musicale e di cantore delle tradizioni lucane: è impegnato nel Parco Letterario Isabella Morra, ha ideato spettacoli come Versi e ballate senza tempo e partecipato a progetti internazionali come Lucani in Québec.
Voce profonda e occhi che ricercano l’essenza, che guardano all’uomo che “alla fine deve prevalere sul personaggio”, come egli stesso ha tenuto a ribadire in un incontro di temi e di visioni.
In una società e in un tempo della storia sempre più complesso e artificiale, si può affermare che il teatro e il suo linguaggio, possano preservare una forma di Autenticità?
Parto dal maestro Luigi Pirandello che, in una delle sue tante provocazioni ha detto: “Imparerai a tue spese che nel lungo tragitto della vita incontrerai tante maschere e pochi volti”. Concetto tanto più vero in un momento in cui comunicazione, partecipazione, socializzazione la fanno da padrone. Prima l’uomo parlava, la cultura era alta; oggi viviamo l’illusione (in un’accezione non confortante) che è in contrasto con la realtà e proprio giocando sulla dicotomia che l’umanità affronta, manca un modello da seguire. Il teatro, lo affermo con paradosso, è l’unica vera realtà, perché va all’essenza e ti costringe a fare i conti con te stesso.
Fuori, in platea, puoi dire di saper fare tutto; sul palco, sei solo, con i tuoi pensieri le tue personalità. Se affronti con consapevolezza tale dimensione, se cerchi il tuo reale bisogno, di capire chi sei, di affrontare il tuo demone, il tuo alter ego, allora percepisci il vero e il concreto. Ed è lì che si costruisce l’esistenza!
Oggi, camminiamo con lo sguardo basso e concentrato su uno schermo, ci sfioriamo senza incontrarci e la situazione è davvero drammatica; lo osservo nelle scuole, dove tengo i miei laboratori o nei corsi di recitazione tra Valsinni e Policoro. Quando, come nel caso del teatro, si tocca la disinibizione, la personalità, la consapevolezza, la spinta al fare e anche allo sbagliare, mi interrogo su quanta illusione ci sia e sul motivo per cui ai nostri ragazzi non si faccia capire che il mondo è vero, è vivo. È possibile che non ci si renda conto di ciò?
Il teatro (che è la sintesi di tutte le arti, perché tramite esso conosciamo il corpo, la parola, il canto) è lo specchio in cui ci ri-conosciamo, ora, più di sempre.
Quando vedo i giovani appassionarsi allo sport, alla musica, penso nostalgicamente a qualcosa che prima era una normalità e a quanta omologazione sia sorta in questo nostro attraversamento storico; la speranza è proprio, tuttavia, nell’agire e in quell’agito, nel conoscersi nuovamente. Daccapo!
Nella connessione che si crea con chi ascolta, quale emozione si produce?
Si torna sempre allo straordinario, all’energia. La parola connessione è più usata dei verbi cucinare o giocare! Cum – nectere vuol dire letteralmente legare insieme, creare una relazione stretta, direi, con qualcuno o con qualcosa, e avviene anche emotivamente in modo invisibile. Una magia di ganci di una catena più lunga.
Quando ascolto quello che definisco un “rumoroso silenzio”, che è diverso dal silenzio vuoto, in teatri gremiti, avverto una energia poderosa, come se sentissi una corrispondenza perfetta nella mia intenzione di partenza, vale a dire quella di legare a me, di accompagnare ad ascoltarmi, di portare dentro.
Se lo percepisco, è così forte, così intenso, così magico, per l’appunto, fuori dall’ordinario, che poi non ricordo più nulla. Vivo uno smarrimento. Mi perdo come uomo, come attore per aver dato voce al personaggio. E quella è energia pura. Quando si è senza la cognizione, quando si è stralunati, sudati e sfiniti fisicamente, si raggiunge il punto. L’autentico.
Ciascuno esprime, nella propria individualità e specificità, un sogno o una qualche forma onirica. Come si può tradurre questa esperienza così intima e autentica dell’io?
Il sogno è un concetto molto grande.
Noi nasciamo e traduciamo il sogno in una fase primaria, di incoscienza, se vogliamo, date le capacità cognitive del neonato, attraverso l’immaginazione. Il teatro è fare quello che immagini, tanto per chiarirci.
Da piccoli, sogniamo di fare il pirata, di andare sulla luna, di essere qualsiasi cosa, e tramite questo esercizio, alimentiamo la nostra realtà, sogniamo crescendo e non ce ne accorgiamo.
Poi cresciamo e siamo nell’allenamento alla vita e la questione diviene sostanziale: dopo il sogno scanzonato e irresponsabile (nella sua declinazione meravigliosa), qual è il nostro sogno?
Se, come essere umano, sei riuscito a codificarlo, se l’unica cosa che cerchi con attrazione spasmodica è una passione, proprio la tua passione, allora hai risposto alla domanda di senso.
Da bambino a padre di bambini, a cui dico di continuare a sognare sempre, posso dire di aver sognato nella pienezza, bene, perché ho trasformato il mio sogno nella mia vita.
Cos’è il processo creativo?
Volendo indagare una sfera psicologica, senza pretesa di assoluto, ma accostandomi alla riflessione in modo umile e da professionista di altro settore, associo il tema all’immagine di Pinocchio, il bambino dentro il burattino, che a un certo punto guarda quel legno e realizza cosa è stato, come è cambiato. In questa perfezione di metafora, l’attore fa questo. Si guarda allo specchio e vede ciò potrà essere, oltre ciò che è, da quando inizia a lavorare sul personaggio, a caratterizzarlo.
Io non posso essere Erminio se mi affidano la storia di Marco: devo farlo nascere io, dare sfogo alla mia creatività.
Come?
Conoscendo, osservando con enorme attenzione, quello che è intorno. Lì si diventa qualcun altro.
La grande sfida è nella capacità di entrare e uscire dal personaggio: ci vuole tempo, soprattutto quando si interpretano personaggi “sporchi”, cattivi, che non sono te e ti costringono alla forzatura nella trasformazione. Con quella energia di cui abbiamo già parlato.
Uscendo ci si ritrova. A essere amico, padre, marito, da Erminio e sempre con una stella polare: l’uomo deve prevalere sul personaggio.
di Virginia Cortese